sabato 27 novembre 2010

Chi t'ha nutrito, vite selvatica?


C'è un più che mai suggestivo libro, dell'indimenticato Piero Camporesi, che accompagna, da sempre, le mie notti insonni. 
Grande italianista, Camporesi è autore, tra gli altri testi che hanno contribuito alla formazione di tanti di noi, di "La maschera di Bertoldo",  ricostruzione affascinante di questa figura "plurigozzuta" che è lo spirito silvano e godereccio dello "strambo, pazzesco, astuto" villano.

Correva l'anno 1985 e Garzanti pubblicava "Le officine dei sensi", questo il mio viatico verso l'alba. 

Nel capitolo "Il geroglifico delle voluttà" - irresistibile già dal titolo -, si legge di congegni vitali e sensibili, dotati di sentimento, di anima vegetativa e sensitiva, non solo di senso ma di ragione (...), creture perfino passionali, (...) ritenute capaci di odi e di amori, di repulsioni e di attrazioni, portate all'amore, sensibili all'amicizia, alle tenerezze...

In Toscana, capita ancora oggi di incontrare tracce superstiti del’antico metodo della vite maritata. 

Nelle nostre campagne, in epoca mezzadrile, era in uso il metodo dell’ ”alberata”.  Si trattava di un sistema basato su vitigni “maritati” a sostegni arborei, quali che fossero, definiti comunque "omo", l'uomo. All’acero campestre, il frassino, il pioppo, l’olmo, il gelso, l’olivo e persino ad alberi da frutto si abbracciava la vite. 


 
"Tra valli fiorite, dove all'ulivo s'abbraccia la vite..."
Da "Il sogno di Maria" di Fabrizio De André
 


Il metodo della vite maritata, “che tanto abbelliva e rendeva vago il paese nostro” (Cosimo Ridolfi, Lezioni orali di agraria, Firenze, 1858), assicurava, nonostante la promiscuità delle culture, una qualità eccellente del vino. 

La natura, nella cultura contadina, era  antropomorfizzata...invocava il vento per essere accarezzata, amata, ingravidata, conservata viva e vitale.  
E (...) il coltivatore doveva tener conto dei (...) bisogni sentimentali, del profondo, vaneggiante desiderio d'affetto, e d'unione.  Delle piante.

Un trattato del Cinquecento, citato da Camporesi, e magnifico nella sua lingua fermentante, racconta bene di questa affezione tra piante innamorative. Il contadino si scoprirà indispensabile messaggero d'amore...porterà i baci e gli abbracci, e la pianta, a queste carezze, comincerà a rallegrarsi e a rizzar le foglie.  Peroché a questa foggia si mitiga la forza d' amore, ed ella diventando bella, produce suavissimi frutti.


Cercate nei campi la vitalba. Vedrete che s'abbraccia  malinconicamente all'ulivo. Ma, lo sappiamo bene, la vite selvatica non dà frutti. Perchè non c'è pianta che, abbandonata, non si faccia sterile. 





Dedicata a Laura. E a Bianca, che sta per nascere al colore del vento.


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